L’ex stella rossonera ha presentato il su libro autobiografico a “Che Tempo Che Fa“. Ecco le sue parole
Intervenuto a Che Tempo Che Fa, Ruud Gullit ha presentato il suo libro “No guardare la palla”, nel quale racconta la sua carriera. Numerosi gli aneddoti raccontati dall’ex rossonero, che ha parlato anche del suo addio al Milan: “Per me è stato un periodo molto importante. Io devo molto al Milan, che mi ha dato una disciplina, ma quando sono andato alla Sampdoria ci sono andato perché i medici rossoneri non avevano più fiducia in me e nelle mie ginocchia. Si diceva che fossi sempre rotto, ma non era vero, stavo benissimo ma non mi facevano giocare. Ero molto deluso, per quello sono andato via“.
Gullit e Mandela
Gullit ha parlato anche del rapporto speciale che lo legava a Nelson Mandela: “Mandela mi disse: ‘Ora che sono presidente ho tanti amici, tu sei uno dei pochi che era mio amico anche quando ero in carcere’. Mi ha colpito“.
Gullit alla Sampdoria
Dopo l’esperienza al Milan, l’olandese ha trovato la sua dimensione ideale con la maglia della Sampdoria: “La Sampdoria mi ha dato la libertà di giocare: al Milan ho fatto al massimo 9 gol a stagione, quando sono arrivato alla Samp ho fatto 15 gol, non ho mai segnato così tanto. La Sampdoria mi dava felicità,libertà, anche libertà di vita, perché a Milano era difficile per me andare in giro, mentre a Genova andava abbastanza bene“.
Il gol al Milan
Un rapporto, quello coi rossoneri, fatto di gioie e dolori: “Ero talmente frustrato dal fatto che non mi facevano giocare, che quando con la Samp incontrammo il Milan e io segnai il gol, invece di fare come quei giocatori che segnano ma non festeggiano, io festeggiai molto. Mi avevano colpito al cuore, perché il Milan era nel mio cuore, e stavo male per essere stato trattato in quel modo, per questo motivo ero contento di aver fatto gol“. Poi, una parentesi sul ritorno a Milano: “Quando il Milan mi ha chiesto di tornare è stato ancora il mio cuore a riportarmi là, ma è stato uno sbaglio tornare al Milan, perché ero cambiato come persona, potevo esprimermi in modo diverso e facevo molti più gol e molte più cose. Il Milan è stato il massimo per me, ma la Sampdoria ha un posto molto speciale“.
Gullit e Sacchi
“Sacchi non sapeva parlare inglese, io non sapevo parlare italiano, quindi la comunicazione fra di noi era complicata. Di certo l’inglese di Sacchi era peggio del mio italiano. Così i primi tempi ci limitavamo ai gesti. Lui mi diceva di andare ‘su e giù’, indicandomi che dovevo fare la spola fra centrocampo e area di rigore. Poi, una volta, voleva spiegarmi come fare una finta, fece un rapido movimento del collo e si stirò. Fu costretto a un mese di terapia. Urlava sempre, in continuazione. Ma ben presto perse la voce. Così si procurò un megafono, ma purtroppo urlava pure nel megafono, così la sua voce risultava ancora più insopportabile. Poi un’altra cosa che odiavamo era la sua abitudine a parlare coi calciatori prima delle partite. Così, quando eravamo in ritiro, se si sentivano dei passi nel corridoio, tutti spegnevano la luce e facevano finta di dormire“.
Gullit alla Juve
“Inizialmente mi voleva la Juventus. Quando ero al Psv un nostro dirigente aveva una idea di Super League, la Juve voleva partecipare solo perché volevano me. Loro avevano vinto tanto, il Milan non aveva vinto niente. Così ho preferito andare in una squadra che ancora non aveva vinto“.
Gullit e Capello
“Con Capello ho avuto qualche discussione, avevamo opinioni diverse e ci siamo scaricati un po’ di parole. Lui poi ha raccontato questo episodio nello spogliatoio del Real Madrid, invece al Milan nessuno parlava di quello che succedeva nello spogliatoio. E’ una regola del calcio, non deve mai uscire niente di quel che succede negli spogliatoi per essere vincenti. Ci sta che succedano certe cose, si deve litigare, nel calcio non è importante essere amici ma bisogna sempre rispettarsi. Al Milan questa cosa funzionava al massimo“.